Conoscere le implicazioni e le dinamiche dell’azzardo (che tutto è tranne che un gioco) per chi fa comunicazione sociale è un plus (Vita e Se questo è un gioco). È come calarsi nel buco del Bianconiglio e ritrovarsi in un modo paradossale, sottosopra, inumano. Provo a raccontarlo con una storia.
Vittorio è un nome che fa sperare in una vita ricca di conquiste. Ma il Vittorio di questa storia è un bambino come tanti che, quando accompagna il nonno al bar sotto casa, si appassiona al calcio di cui gli amici del nonno parlano con eccitazione, impara a conoscere i problemi del sistema pensionistico italiano, guadagna sempre una liquirizia o una lecca lecca dalla barista a cui piacciono tanto i bambini e impara a grattare con la monetina da 200 lire i Gratta e Vinci, appesi in bella vista a ricoprire un’intera parete del locale.
Il nonno è solito comprare i Gratta e Vinci alla moglie. Per lui è come regalare la fortuna alla donna che ama. Un gesto di affetto. Gli piace vedere la nonna che, tutta contenta, gratta e spera. E quanta gioia quando le capita di vincere 2.000, 5.000, 10.000 lire! Così per Natale Vittorio ha una idea: “Mamma, perché non regaliamo alla nonna tanti Gratta e Vinci? Una scatola intera!”. Diventa così un’abitudine di famiglia, la mattina di Natale, grattare e sperare nella grande vincita. Negli anni i Gratta e Vinci si accumulano e, forse per una sorta di superstizione o perché la nonna non butta mai via niente, i cartoncini si accumulano in quel grande vaso smerigliato che non si sa più chi l’aveva regalato ai nonni per il loro matrimonio. È talmente brutto che non può stare in casa, ma buttarlo via… come si fa? D’altronde è pur sempre un regalo!
È un vaso davvero grande che, di anno in anno, si riempie sempre di più, mentre Vittorio cresce e continua a regalare la fortuna alla nonna, fino a quando il nonno e poi lei vengono a mancare. È il primo lutto che Vittorio, ormai adolescente, affronta. Si sente sopraffatto, anche se i nonni erano anziani eccetera eccetera… Ogni motivazione, seppure ragionevole, non lenisce quel dolore, quella mancanza quasi disarmante.
Per un po’, in ricordo dei nonni e delle abitudini dell’infanzia, Vittorio continua a comprare Gratta e Vinci e a conservarli nel vaso in garage, fino a quando un giorno in cui si sente particolarmente abbattuto, perché, da poco laureato, non riesce a trovare lavoro, invece che comprare il solito Gratta e Vinci si siede alla slot machine. Eh sì, il bar sotto casa ha anche le slot e le videolottery che all’inizio gli offrono momenti di distrazione. Una distrazione che col passare del tempo prende il sopravvento nella sua vita. Lo distrae letteralmente, ossia lo distoglie dalla famiglia, dal lavoro, dagli amici… da tutto. Anche dalla nostalgia e dal dolore, certo, ma lo porta nella malattia (quella che viene chiamata ludopatia, anche se il suo nome corretto è disturbo da gioco d’azzardo o gioco d’azzardo patologico). L’anestetizzarsi dal dolore del lutto porta una nuova sofferenza che questa volta coinvolge tutta la famiglia. Ormai Vittorio ha 30 anni, ha perso gli amici, fa lavoretti saltuari e butta tutto lo stipendio nelle slot machine, fino ad arrivare a rubare le catenine d’oro che la nonna aveva lasciato in eredità a sua madre. Ma non è a questo punto che Vittorio tocca il fondo.
Deve passare ancora qualche tempo, perché prenda consapevolezza di non poter più andare avanti così, di essere profondamente solo e infelice e che l’insonnia, l’ansia costante e l’ulcera allo stomaco sono colpa del fatto di non avere altro pensiero che il gioco. E così quella mattina di Natale, alla soglia del suo quarantesimo compleanno, dopo essere stato messo alla porta dalla sua famiglia, riunita a festeggiare, Vittorio non sa dove andare. Si rifugia nel vecchio garage dei nonni dove trova il grande vaso che trabocca di Gratta e Vinci usati e dimenticati. Sono anni che Vittorio non ci pensa, da quando ha smesso di grattare i biglietti “della fortuna” per dedicarsi alle slot machine. E così, mentre i suoi familiari scartano i regali sotto l’albero, lui si mette a scartare uno ad uno quei biglietti e, man mano che li prende dal vaso, si rende conto di quanto siano cari: 5, 10, 20 anche 25 euro. Una enormità! E sono tutti biglietti perdenti. Scava nei suoi ricordi, cercando le vincite… Sì, ce ne sono state, poche: 10 euro anche 50, una volta la nonna vinse 100 euro e gli comprò per il compleanno un videogioco a cui teneva tanto, ma per il resto davvero poca roba che spesso veniva spesa per comprare altri biglietti nella speranza di una grande vincita, magari quella che ti cambia la vita. Eh sì effettivamente a pensarci bene la vita questi Gratta e Vinci l’hanno cambiata davvero a Vittorio che comincia a fare i conti. Non riesce a crederci! È mostruoso quanto lui e il nonno abbiamo speso negli anni. Rifà i conti due volte. Non ci sono errori, anzi ci sono da aggiungere tutti i debiti contratti per giocare alle slot machine.
All’improvviso il silenzio assordante nella sua testa viene interrotto dalla notifica del bonus di benvenuto di un casinò online. Questa volta però Vittorio non ci clicca sopra, ma si guarda in giro e trova un barattolo di colla. Prende un Gratta e Vinci e se lo incolla sul petto all’altezza del cuore, poi ne prende un altro e un altro ancora fino a quando, biglietto dopo biglietto, si ricopre completamente di Gratta e Vinci perdenti, della fortuna falsa e cieca. Anche in testa anche in faccia. E quandi la colla finisce continua con lo scotch. Lascia scoperti solo gli occhi che gli servono per prendere una sedia senza schienale e una corda, farci un nodo, lanciarla oltre la trave del soffitto e lasciarsi andare.
Vittorio resta appeso per sempre alla vergogna, al senso di colpa, alla convinzione di essere un perdente. Poteva scegliere di alzarsi dal pavimento, dare fuoco al vaso e bussare alla porta di casa per chiedere aiuto. Invece, da solo, è rimasto vittima della trappola dell’azzardo.
Questa è una delle possibili storie di Delooser la nuova installazione della nota artista milanese Annarita Serra: un manichino vestito di Gratta e Vinci tutti perdenti e impiccato da una corda per denunciare il vero aspetto del gioco d’azzardo. Una denuncia contro uno Stato che normalizza l’azzardo, contro un mercato che lo distribuisce come fosse un bene di consumo quotidiano e contro una società che lo percepisce come un semplice intrattenimento: «La cosa più grave è che a distribuire questo “gioco” sia lo Stato, così come fa con alcol e sigarette. È vergognoso che lo Stato venda la morte, mentre sulle schedine si legge ‘nuoce gravemente alla salute’. È una presa in giro paradossale».
L’ispirazione artistica e la denuncia sociale di Annarita Serra nascono da un'esperienza personale: «Per anni ho visto mia madre comprare Gratta e Vinci da 1 o 2 euro, ed era contenta quando vinceva qualcosa. Mi sembrava un gesto spensierato e così spesso le portavo una brioche e un Gratta e Vinci. Glieli regalavo anche a Natale. Per me era come donare la fortuna».
Ma qualcosa ha cominciato a incrinare questa credenza, quando, osservando con più attenzione cosa succede nel bar dove fa colazione ogni mattina e guardando il comportamento di chi compra i Gratta e Vinci e di chi gioca alle slot machine, Annarita vede «persone sole, silenziose, piegate in avanti, mai felici. Una mattina ho visto una signora anziana in lacrime: aveva finito i soldi. Diceva di essere disperata. Quell'immagine mi ha colpito profondamente. E così ho deciso di fare qualcosa. Nel bar dove facevo colazione c’era un contenitore giallo con scritto di gettare lì i Gratta e Vinci usati. Ho chiesto al barista chi li raccogliesse. Mi ha risposto: ‘Nessuno. Li vuoi?’. Ne ho portati via due borsoni pieni. Erano tutti biglietti da 10, 15, 20, 25 euro. Un’enormità! Allora mi sono chiesta: Com’è possibile che tanta gente spenda così tanto? Perciò ho iniziato a documentarmi e ho scoperto che il Gratta e Vinci è legato al gioco d’azzardo patologico che viene anche chiamato ludopatia. Addirittura ci sono persone che si suicidano. Eppure la maggior parte pensa che si tratti di gioco e il problema resta minimizzato, nascosto dietro la maschera della fortuna».