Hai mai pensato che il fundraising sia un lavoro di confine?
Questa bella domanda l’ha posta Francesca Cerutti, in un recente articolo della sua newsletter Unaerredueti, e così le ho chiesto di condividere questa puntata di Parole Umane che mi fa domandare anche:
Hai mai pensato che la comunicazione (sociale) sia un lavoro di confine?
Confine è una parola che Francesca si porta dentro, perché è una viaggiatrice curiosa. Quest’estate ha visitato Istanbul, una città divisa fra due continenti, e ama molto anche i Balcani che, possiamo dire, vivono da sempre una vita di confine. Il suo è uno sguardo libero. Per questo chiacchierare con lei di confini mi ha aiutata non poco ad allargare il mio orizzonte.
Peraltro non avevo ancora pensato a questa parola e non mi ero mai accorta di quanto fosse polare.
Confine
deriva dal latino confinis ‘confinante’ che a sua volta è formato da finis ‘limite’ preceduto dalla preposizione cum ‘con’. Dunque il significato autentico di questa parola - che potremmo a tutti gli effetti considerare perimetrale - indica ‘un luogo dove si finisce insieme’. Più che un recinto, una soglia che apre a possibilità di incontro; più che una barriera, una frontiera. Finis infatti indica sia la fine che il fine, ossia lo scopo. Possiamo perciò concepire il confine come un limite oppure come un invito all’accoglienza. D’altronde limite deriva dal latino limes che significa sentiero, ma indica anche le pietre che segnavano i confini tra due campi, mentre nel linguaggio militare indicava una frontiera fortificata. Infine c’è da aggiungere a questa rete semantica il termine limen che vuol dire soglia. Scopriamo allora che confine può essere anche sinonimo di affine!
Una bella sorpresa che Francesca Cerutti declina a favore del terzo settore, spostando il punto di vista ‘dentro’ la professione del fundraiser (che a me piace chiamare ‘professionista del dono’) e pure del comunicatore sociale.
Come ci dice Chris Anderson in Generosità contagiosa:
il male è più forte del bene, perché abbiamo il bias della fallacia cognitiva
il bene è lento e per questo risulta noioso, ma cambia il mondo, mentre il male è veloce «lo stato naturale dell’universo è il caos: ci vuole tempo per far accadere qualcosa di buono».
Unaerradueti come tanti colleghi vive questo bias del dono tutti i giorni, toccando con mano la difficoltà della sensibilizzazione, ossia dello spostamento dello sguardo verso chi vive in zone di confine, perché vulnerabile, emarginato, indifeso… Portare le persone nei luoghi che naturalmente ci respingono, attraverso soglie che non vorremmo varcare, è una parte sostanziale del lavoro del fundraiser. Ecco perché non è ‘solo’ un lavoro, ma anzitutto una missione.
Il fundraiser infatti, e un po’ anche il comunicatore sociale, è una sorta di Caronte, ci dice Francesca: «Siamo traghettatori che accompagnando le persone ad attraversare i confini e a prendere parte alle nostre cause che sono ‘buone’ per tutta la comunità. Al di qua e al di là della soglia. Il termine tecnico che ci definisce è ‘facilitatori’. Facciamo in modo infatti di portare nello stesso luogo, quindi di rendere confinanti, i donatori con i beneficiari. Come? Raccontando, storie alla mano, l’impatto che il dono genera. Ecco perché il nostro lavoro confina con quello dei comunicatori sociali».
Ma non è finita: «Le storie delle persone di cui ci occupiamo sono di per se stesse confine. Non solo in merito alla storia in sé, ma anche perché il loro vissuto tocca il nostro quotidiano ed è difficile restare indifferenti. Sono dunque storie di confine perché attraversano i nostri confini personali. Sta a noi saperli intercettare e trovare per loro le giuste risposte che non possono mai prescindere dalle ‘buone’ relazioni». Il terzo settore si occupa infatti di confini sociali che sono prima di tutto relazionali nel mondo analogico come in quello digitale: «Non possiamo dimenticarci dei confini generati dalla bolle frutto degli algoritmi. Anche in questo il nostro è un lavoro di confine».
D’altronde più di 2000 anni fa i Greci ci hanno insegnato che il confine è il limite della nostra natura, a partire dal tempo che abbiamo a disposizione; tuttavia è anche il limite, fatto apposta per essere superato come fece Ulisse alle Colonne d’Ercole. Anche se il mio confine preferito resta la siepe dell’Infinito di Leopardi. Ma qui mi fermo che questo non è il luogo di ‘pipponi’ letterari.